Con questo articolo nasce una nuova collaborazione con il mio amico/collega Ing. Antonio Negro. La sua passione per la statistica applicata allo sport ci consentirà di misurare con i numeri i risultati delle società e le prestazioni dei giocatori. Parola ad Antonio…
Con l’uscita dalla Champions League dei campioni in carica del Bayern Monaco, torna a galla una questione atavica: ma davvero per vincere questo trofeo è sufficiente essere i più forti? Oppure è necessario essere fortunati, o quantomeno non sfortunati? Questa estremizzazione per giungere al dunque: arrivare ad un appuntamento importante senza – forse – il miglior giocatore della propria squadra (sicuramente il centravanti migliore al mondo, nientemeno che Robert Lewandowski), non è il miglior viatico per approdare alla semifinale. Se poi l’avversario è una delle migliori squadre al mondo, finalista dell’ultima edizione della massima competizione continentale, il Paris Saint-Germain, questa sfida arriva proprio al momento sbagliato. Rientrando in Italia, da grande appassionato del calcio e dei suoi numeri, mi sono imbattuto nel particolare andamento della Juventus in Champions League: tanti ottimi piazzamenti, svariate finali (6, soltanto una in meno del famelico Real Madrid), ma un solo titolo in bacheca (a dispetto invece delle Merengues, vincitori 7 volte su 7!). Non sono caduto in errore, sto considerando esclusivamente la competizione dall’anno calcistico 1992/93, da quando cioè ha il “nuovo” nome.
Come in tutte le cose, bisogna separare l’anima (juventina, sob) dalla mente (ingegneristica, appunto), e quindi l’analisi che vi riporterò di seguito non mischierà il cuore con il cervello.
Sono state prese in considerazione le migliori 25 squadre (in quanto a partecipazioni/qualificazioni) del range temporale 1993-2020: non è un caso che la 25ᵃ e la 26ᵃ siano le due scozzesi di Glasgow, i cattolicissimi Celtic, ed i protestantissimi rivali dei Rangers, società che storicamente fanno incetta di titoli nazionali, non facendo però seguire altrettanti piazzamenti in Europa (anche se resterà nella mitologia il primo Treble della storia del calcio, traguardo raggiunto dai Celtic Glasgow nel 1967).
Per ogni piazzamento, sono stati assegnati i seguenti punteggi:
È stata imposta una sorta di “interpolazione lineare” – passatemi il termine – visto che a cavallo di questo quasi trentennio è cambiata più volte la formula del torneo, passando dalla formula del 1992/93:
- Turno preliminare
- Sedicesimi di finale
- Ottavi di finale
- “Final 8” (2 gironi da 4, le prime 2 classificate si qualificano per la finale)
- Finale
a quella attuale:
- Turno preliminare
- Primo turno di qualificazione
- Secondo turno di qualificazione
- Terzo turno di qualificazione
- Spareggi
- Fase a gironi
- Ottavi di finale
- Quarti di finale
- Semifinali
- Finale
dove la vera e propria Champions League inizia con la Fase a gironi, quindi con addirittura 5 turni di qualificazione.
Quindi, a rigor di chiarezza, un sedicesimo di finale dei Glasgow Rangers dell’annata calcistica 1993/94 equivale, per questo studio statistico, ad un terzo turno di qualificazione del Porto dell’annata calcistica 2019/20.
Fatte tutte queste premesse, di seguito vi riporto l’analisi effettuata:
A valle di tutti questi numeri e calcoli, si evince come la Juventus, essendo storicamente la 5ᵃ squadra in UCL (per punteggio totale e media aritmetica), la 6ᵃ per numero di qualificazioni (71,43% di partecipazioni), ed addirittura la 4ᵃ negli ultimi 9 e 5 anni, si ritrovi con un magro bottino di una sola affermazione.
In particolare, gli ultimi 2 dettagli statistici sono confermati dall’attuale ranking UEFA:
Alla fine di tutto, dopo aver sciorinato tutti questi numeri, cercando di essere quanto più disincantato possibile, mi domando: è una questione di “sfortuna”? È semplicemente un “caso”? Oppure è, incontrovertibilmente, “destino”?
Par avere una risposta da “ingegneri del calcio” partiamo dalla formula della Champions League riportata in precedenza:
come possiamo notare, a differenza delle leghe nazionali in cui tutti incontrano tutti in due gironi di andata e ritorno (con una maggiore possibilità di poter “correggere il tiro” o “raddrizzare una situazione negativa”), il meccanismo degli scontri diretti porta certamente ad un’incidenza maggiore degli episodi e delle variabili di gioco che caratterizzano ogni scontro. Un particolare nel singolo match insomma fa molta più differenza, e parafrasando Max Allegri, l’ultimo tecnico in grado di raggiungere – tra l’altro due volte – l’ultimo atto della competizione in questione:
“la Champions League è una competizione talmente bella quanto ‘bastarda’, metaforicamente assimilabile ad un tiro che va sul palo: se va dentro passi il turno, se va fuori vieni eliminato”.
E’ possibile che ci sia un “problema” di testa (come molti comunemente credono) che passa dai giocatori ai dirigenti per finire ai tifosi, di generazione in generazione?
O, allontanandomi dalla scientificità dei numeri, c’è una sorta di maledizione derivante dalla maledetta sera dell’Heysel? Eppure, la Juve è stata, proprio il 29/05/1985, la prima squadra a raggiungere il Treble confederale (ovvero la prima squadra europea a vincere Coppa Campioni, Coppa UEFA e Coppa delle Coppe), ed insignita proprio dalla UEFA.
Sta di fatto che, nella Champions League, al netto di una programmazione ed un’organizzazione invidiabili, le variabili del gioco assumono molta più importanza: basti pensare che, tornando all’incipit, il Bayern Monaco, squadra nella quale la pianificazione del lavoro è alla base di tutto (una vera e propria squadra-azienda), negli ultimi 15 anni ha:
- la metà (2) dei trofei vinti da squadre che viceversa non sono tanto avvezze alla programmazione e soprattutto al bilancio (Barcellona e Real Madrid, 4 trofei a testa);
- un solo trofeo in più rispetto a realtà estemporanee (come Inter, Chelsea, Liverpool), che hanno alternato all’unica affermazione europea lunghi periodi senza trofei.
Rimanere legati al credo comune della maledizione o cercare una spiegazione nei numeri? Cari ingegneri del calcio, a voi la scelta.